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mercoledì 14 novembre 2007

Maroni: l’inquietante delitto al settimo piano di un palazzo dimostra che nessuno può sentirsi sicuro La maggioranza degli italiani (51%) è favorevole alle ronde e la paura è cresciuta di oltre il 10% in un anno
SE SI MUORE A MILANO ROMA TACE
ALESSANDRO MONTANARI
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La maggioranza degli italiani (51%) è favorevole alle ronde e la paura della criminalità è cresciuta di oltre dieci punti percentuali (dal 62 al 75%), nel giro di un anno. A fotografare il quadro sempre più allarmante della situazione sono due sondaggi di Ipsos e Ispo presentati ieri sera nel corso di Porta a Porta da Renato Manneheimer. Ma per Roberto Maroni, l’ennesima conferma delle buone ragioni leghiste, è fonte di amara soddisfazione. Ieri, infatti, a Milano un uomo di 64 anni è morto nel corso di una rapina e a Roma nessuno ha battuto ciglio.
On. Maroni, a Milano un medico in pensione è morto durante una rapina in casa, ma non pare esserci stata la stessa reazione emotiva seguita all’omicidio Reggiani...
«Assolutamente no. Nella discussione alla Camera sui fatti di domenica sono stato l’unico a citare l’episodio di Milano. Questo la dice lunga sulla differenza di percezione che c’è tra ciò che avviene a Roma e ciò che avviene a Milano, anche se in quello che è accaduto nel capoluogo lombardo trovo elementi inediti e agghiaccianti».
A cosa si riferisce?
«Non è stata la solita rapina in una villa isolata, ma una rapina al settimo piano di un condominio situato in una zona “bene” di Milano. E pergiunta alle due di notte e senza scasso. Questo vuol dire che nessuno ormai può più sentirsi sicuro. E di fronte a una simile situazione il Governo dà risposte deboli e balbettanti».
Allude alla gestione delle violenze degli ultrà?
«Anche. Sulla questione del calcio il ministro Amato non ha dato alcuna risposta. Ha semplicemente esposto i fatti, aggiungendo che queste cose non devono più accadere. Ma il problema non sta tanto nell’errore commesso dal poliziotto...».
Vuol dire che il problema è l’atteggiamento verso i tifosi?
«Dal primo decreto sulla violenza negli stadi, che feci io nel ’94, non si è fatto quasi più niente per arginare le violenze. Io introdussi il principio per cui, se un tifoso commetteva o incitava a commettere atti di violenza, il questore poteva impedirgli di entrare allo stadio. Da allora son passati 13 anni e le cose sono solo peggiorate. Questo Governo non ha la capacità di prendere misure efficaci per contrastare la violenza. A tutti i livelli: da quella del calcio a quella delle rapine».
La gente si sente sempre più insicura e il 51% degli italiani dice di approvare le ronde. Che ne pensa?
«Che questi dati sono il risultato delle politiche del Governo. Se in un anno la percezione d’insicurezza aumenta del 10% e se la maggioranza dei cittadini dice di sì alle ronde non credo che gli interpellati siano tutti leghisti. Un dato così alto, 51%, vuol dire che il ceto medio è disperato e che sente che lo Stato è incapace di difenderlo. Il Governo dovrebbe essere in allarme e invece risponde con cinque disegni di legge che non diventeranno mai legge e con un decreto che sta diventando una barzelletta. Pensi che a Milano, da quando il dl è stato approvato, sono stati accompagnati alla frontiera solo quattro romeni».
Insomma, la voce della Lega meriterebbe un migliore ascolto a Palazzo Chigi?
«Mi limito a sottolineare, e devo dire con rammarico, che la Lega ha fatto scuola. C’è una richiesta di sicurezza che le forze dell’ordine, nonostante l’impegno, non riescono a soddisfare. Le ronde significano controllo preventivo del territorio e non implicano la voglia strisciante di sostituirsi alla polizia. Questo è il segnale forte che noi avevamo mandato e che il Governo ha sempre sottovalutato. Adesso voglio vedere come farà l’Esecutivo a snobbare il 51% degli italiani. Ma mi faccia aggiungere una cosa...»
Prego.
«Controllo del territorio vuol dire polizia locale, che è l’unico mezzo efficace per contrastare i cosiddetti reati predatori. Umberto Bossi aveva chiesto di inserire questo capitolo nella devolution e oggi possiamo dire che, ancora una volta, ci aveva visto giusto».

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