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lunedì 3 dicembre 2007

«Un nuovo testimonial?» ....AZOUZ

Castelli: «Un nuovo testimonial?»
Spaccio: Azouz dalla tv alla cella dal nostro inviato Iva Garibaldi LA PADANIA 02/12/2007
Anche subito dopo la strage della sua famiglia lui s’era presentato agli sguardi dei giornalisti e delle telecamere in maniera molto composta. Abiti alla moda, occhiali a specchio, passo deciso. Decisamente trendy, quasi un modello o un personaggio televisivo.
E infatti, Azouz Marzouk, tunisino, 27 anni, padre, marito, genero di tre delle quattro vittime barbaramente trucidate quasi un anno fa a Erba dai vicini di casa, a quel ruolo prontamente offerto non si sottrae. Copertine sui giornali, interviste, ospitate in numerosi programmi televisivi dove viene chiamato per parlare della strage e della sua tragedia. La settimana scorsa torna sul luogo del delitto, la casa di via Diaz, per un sopralluogo con il suo avvocato. Al termine parla di sentimenti di «dolore e rabbia, tutto quello che ho visto mi hanno ricordato Youssef e Raffaella. Gli assassini meritano due ergastoli a testa ma penso sempre alla pena di morte». Ma per Marzouk ieri è cominciato un altro capitolo. È stato arrestato con l’accusa di concorso in spaccio e traffico di stupefacenti. In carcere, per ordine della procura di Como, sono finiti in sei, tutti tunisini, tra cui anche Sadok fratello di Azouz. Complessivamente le ordinanze di custodia cautelare sono dieci.
L’inchiesta parte dal 2002 e il quadro indiziario è pesante: secondo l’accusa la droga, hashish e cocaina, proveniva presumibilmente dalla Tunisia e per essere spacciata nell’intera Lombardia. Ieri, tramite il suo avvocato, ha negato ogni coinvolgimento nella vicenda. Ma Azouz in carcere un anno fa c’era già finito sempre per questioni di droga. Condannato a quattro anni, ha scontato pochi mesi grazie all’indulto. Certo, qui non si vuole fare un processo. A questo ci penseranno i giudici. C’è un però. Perchè quello che proprio non vorremmo vedere è la replica del rom che, dopo aver ammazzato quattro ragazzi ad Appignano travolgendoli con il suo furgone, è diventato una specie di star. Testimonial di una linea di abbigliamento e accessori, orologi venduti all’asta su e-bay, probabile autore di un futuro libro di memorie. E il fatto che Fabrizio Corona, il fotografo divenuto famoso dopo essere stato protagonista dell’inchiesta Vip, sia arrivato a bordo di una Range Rover a casa di Azouz a poche ore dal suo arresto la dice lunga sulla piega che sta per prendere tutta la vicenda. Sembra quasi profetica la dichiarazione di Roberto Castelli, affidata alle agenzie subito dopo la notizia dell’arresto: «mi auguro che non arrivi un nuovo “illuminato” manager – ha detto - che voglia utilizzare Azouz come testimonial di qualche nuovo prodotto da lanciare». Quasi un mondo alla rovescia dove l’essere accusati di reati anche tremendi diventa una specie di viatico per accedere alla celebrità, al successo, ai soldi.
«Fermo restando quello che sono le responsabilità, che non possono che essere personali – dice Roberto Calderoli - vorrei chiedere ad alcuni saccenti conduttori televisivi, che hanno ripetutamente presentato Marzouk come se fosse un opinionista, cosa ne pensano adesso».
Per Calderoli «l’aver subito un grave lutto, che è accaduto a lui, non lo fa diventare automaticamente un maestro di vita. Riflettano. Perché forse - conclude - è anche loro la responsabilità se oggi qualcuno arriva a chiedere al rom che ha sterminato quattro giovani di diventare un testimonial pubblicitario. In alcuni casi a volte i cattivi maestri possono essere anche nel mondo dell’informazione». Sta nascendo una nuova categoria: quelli che diventano famosi dopo essere stati implicati in un fatto di cronaca possibilmente nera.
Illuminanti le parole di Corona che ammette d’aver guadagnato su Azouz, poi diventato anche suo amico. E ha anche ricordato che, proprio in conseguenza di fatti di cronaca, è diventato amico pure delle gemelle Cappa, le cugine di Chiara Poggi, la giovane uccisa lo scorso 13 agosto a Garlasco, e di Patrick Lumumba, arrestato e poi rilasciato per il delitto di Perugia. E con Lumumba, ha detto, «presto incideremo un disco». «Non è compiendo crimini, ammazzando innocenti o spacciando droga – dice Davide Boni - che si può raggiungere il successo e la fama. Per questo non dobbiamo creare degli antieroi, strumentalizzando vicende e fatti di cronaca senza alcun rispetto per le vittime».

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