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martedì 16 ottobre 2007

Maroni: «Ma quanti banchieri in coda ai seggi per il leader del Pd! Un’altra cosa la nostra terra che fa politica e lavora» Esito inferiore alle aspet

LA LEGA: LA PADANIA BOCCIA VELTRONI
ALESSANDRO MONTANARI
Quella di Veltroni è una «leadership debole» e la Padania l’ha riconosciuta come tale. Nella nascita del Pd Roberto Maroni non vede nessuna «rivoluzione copernicana» per il sistema politico italiano: «Quella - dice - l’ha fatta la Lega quindici anni fa». Ma, all’indomani delle primarie, il capogruppo del Carroccio alla Camera sottolinea soprattutto l’indifferenza del Nord verso il neo-segretario del Partito Democratico, visto come «il simbolo di una Roma padrona e ladrona».
Onorevole Maroni, cominciamo dai numeri. Le primarie del Pd hanno coinvolto più di 3 milioni di persone. Come legge questo dato?
«Visti i controlli che ci sono stati, non mi fido troppo dei numeri. Ma, qualunque siano i numeri reali, mi sembra che i dati significativi siano due. Il primo è che alle primarie di Prodi andarono a votare più persone. Il secondo è che Ds e Margherita non sono riusciti a mobilitare per intero nemmeno l’elettorato che la scorsa settimana ha partecipato al referendum sul welfare. Basta e avanza per dire che il Partito Democratico non è riuscito a scaldare i cuori».
Giudizio completamente negativo?
«No, le primarie sono un esercizio di democrazia da rispettare. È sempre apprezzabile quando alla gente viene data l’opportunità di esprimersi. Noi della Lega lo abbiamo fatto tante volte, con le nostre mobilitazioni di piazza. Ritengo, però, che il risultato di queste primarie sia stato eccessivamente enfatizzato. L’esito, infatti, è stato inferiore alle aspettative, non superiore: un partito capace di rivoluzionare la politica italiana dovrebbe nascere con il voto di dieci milioni di cittadini, non di tre. Detto in altri termini: il Pd non è la rivoluzione copernicana del sistema. L’unica rivoluzione copernicana del sistema l’ha fatta la Lega, quindici anni fa».
Come previsto Walter Veltroni ha trionfato: ora è il segretario del più grande partito della sinistra italiana e il prossimo candidato premier. Quali sono i tratti essenziali di questa nuova leadership?
«Trovo molto azzeccata la satira di Crozza, che ha fatto di Veltroni il politico del maanchismo. Per piacere a tutti e non dispiacere a nessuno, sostiene tutto e il contrario di tutto. Ma questa non è prova di leadership; al contrario è un segnale di grande debolezza. D’altra parte per tenere in un unico partito popolari e socialisti, ex democristiani ed ex socialisti, Veltroni deve necessariamente dire che vanno bene gli uni ...ma anche gli altri. Il maanchismo veltroniano è una scelta di ripiego, molto indicativa della debolezza politica del Partito Democratico che, infatti, in tutti i sondaggi, non raccoglie nemmeno la somma dei voti di Ds e Margherita».
Che impressione le ha fatto vedere banchieri come Profumo o Bazoli o imprenditori come Moratti, Tronchetti Provera e sua moglie Afef in fila per scegliere il segretario del partito che raccoglie l’eredità politica del Pci?
«Non mi ha sorpreso. Si erano già visti alle primarie di Prodi. È una fiera dell’ipocrisia: persone che si professano grandi imprenditori o grandi banchieri indipendenti che vanno a riverire il potente di turno. Credo che sia proprio questo l’atteggiamento che determina l’antipolitica. La gente vede che questi personaggi, che sono quelli detengono il vero potere, prima descrivono i politici come la casta improduttiva da scacciare e che poi gli si prostrano ai piedi».
Anche Montezemolo ha speso parole di stima per Veltroni. Insomma, non si capisce se il Pd sia un partito di popolo o dei poteri forti...
«Indubbiamente in certi ambienti la sinistra gode di grande favore. Si vede dai giornali, i cui editori peraltro vanno a votare per il Partito Democratico: sono tutti impegnati a difendere le nefandezze di questo Governo. Questo intreccio tra affari e certa politica è il vero ostacolo che blocca lo sviluppo del Paese».
Il Pd avrà un effetto stabilizzante o destabilizzante sul Governo?
«Né l’uno né l’altro, perché i parlamentari sono gli stessi di prima. L’unica novità è che al posto di due segretari ce n’è uno solo. Ma nonostante ciò credo che per molto tempo ancora i due partiti continueranno a marciare separati, se non altro come correnti interne. Per il Governo cambia poco: è comunque costretto a navigare a vista».
Ma nel voto delle primarie non vede anche un impulso a chiudere l’era Prodi?
«Nel voto c’è questo e probabilmente anche molto altro, ma dubito che la classe dirigente del Pd, così divisa e pressata com’è dalla sinistra radicale, possa imprimere una svolta al Governo e alla politca italiana. Non può accadere perché la leadership di Veltroni, come già detto, è una leadership debole».
Prodi però sembra intimorito dal Pd. Ieri, ad esempio, si è rimangiato tutte le concessioni fatte alla sinistra radicale sul pacchetto Welfare...
«Vede, continua a navigare a vista: fa una cosa e la sconfessa. È la prova che il Pd non agisce in alcun modo sul Governo. I problemi di Prodi, in altri termini, restano quelli di sempre. O, comunque, certo non migliorano».
A destra, invece, può mettere in moto qualcosa il Pd?
«A destra, tra An, Fi e Udc, è già cominciato da tempo un dibattito sul partito unico. Personalmente spero che Berlusconi, Fini e Casini facciano il partito delle libertà perché per noi sarebbe molto meglio discutere con un soggetto solo piuttosto che con tre. Come tutti sanno la Lega non è interessata ad entrare in questo partito e mai vi entrerà. Ribadito questo concetto, siamo certamente interessati a un accordo federativo».
Non teme che un Pd che si sente forte possa avere la tentazione di accordarsi con Fi e An per trascinare il sistema al referendum?
«Questo rischio c’è, ma non credo che a Veltroni e al Pd convenga la legge elettorale che uscirebbe dal referendum. Sondaggi alla mano, infatti, quella legge elettorale li costringerebbe a rifare l’accordo con la sinistra e ciò significherebbe evidentemente il fallimento del Pd, che nasce con l’ambizione di superare l’alleanza dell’Unione».
Nei suoi discorsi pre-elettorali Veltroni non ha mai puntato sul federalismo. Alle politiche, però, il voto del Nord sarà fondamentale. E ieri Fassino ha fatto capire che, nel Pd, l’uomo del dialogo col Nord sarà lui. Non le sembra un’implicita ammissione dello scarso impatto politico del Sindaco di Roma sulla Padania?
«Bè, il sindaco di Roma è pur sempre il sindaco di Roma. La scarsa affluenza delle primarie al Nord e la freddezza con cui Veltroni è stato accolto dalle nostre parti ne è la più ampia dimostrazione. Del resto Veltroni non ha mai mancato di attaccare il Nord e di ricordare che Roma è padrona. Chi semina raccoglie. Il problema, però, è che il Nord ha perso fiducia nella sinistra e questa fiducia non si recupera con qualche convegno o con qualche gita sul Po».
Insomma, se il problema è la Questione Settentrionale, Veltroni è l’uomo sbagliato...
«Il fatto è che, dopo l’esperienza della Lega, non esiste più un uomo che possa andar bene per tutto il Paese. Forse l’ultimo è Berlusconi. Adesso ci sono aree del Paese che riconoscono certi leader come propri, ma più un leader è rappresentativo di un’area e meno viene riconosciuto dalle altre. La Lega, da questo punto di vista, è l’esempio tipico. Noi siamo i rappresentanti del Nord e il Nord ci riconosce come suo difensore. Quindi, se noi diciamo che Veltroni è l’avversario, il Nord non lo segue. Se poi uno si caratterizza come sindaco di Roma è chiaro che in Padania non troverà spazio. Anche perché la sinistra di Veltroni è quella degli apparati romani: è l’immagine di Roma, padrona e ladrona».
[Data pubblicazione: 16/10/2007]

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